Ci sono luoghi che non si fanno trovare facilmente, bisogna meritarselo, anche nostro malgrado.
Oltrarno c’è una piccola strada, quasi un vicolo, dietro Santo Spirito. È talmente stretta tra due palazzi antichi che il sole riesce ad illuminarla direttamente e per pochissimi minuti sull’ora di pranzo solo durante l’estate.
Oltre ai portoni d’accesso agli appartamenti sulla via ci sono solo garage, a parte una libreria che si affaccia sul marciapiede con una semplice vetrina e la porta d’ingresso a vetri senza alcun tipo di insegna.
L’interno resta nell’ombra, si intravedono dei tavoli con sopra alcuni volumi rilegati, sulla sinistra l’angolo di uno scaffale i cui ripiani sembrano procedere per tutta la parete fino in fondo, dove lo sguardo arriva.
Appoggiando le mani al vetro e avvicinando il viso fino a sfiorare la vetrina o la porta col naso si riesce a vedere qualcosa di più:
uno dei volumi sul tavolo, impresso sulla copertina, che sembra di pelle, ha il titolo “Anglo-American Cyclopedia” edizione del 1917 e poco oltre si riesce a intravedere un libro piuttosto malconcio con il rivestimento di pelle squamato, ha una piccola borchia di metallo brunito che lo chiude saldamente. Il titolo, in un carattere piuttosto bizzarro, recita “Unaussprechlichen Kulten” di Friedrich von Junzt.
Una volta fatta l’abitudine alla pesante penombra, tra le sagome di libri vecchi, di ogni foggia e dimensione, si può vedere un leggìo, quasi a ridosso del muro di destra, sotto alcune mappe di continenti immaginari. Sopra c'è un libro aperto alla prima pagina: la carta gialla sembra piuttosto pesante, a guardarla da questa distanza si potrebbe pensare a carta oliata, come le mappe dei pirati. Il testo sembra disegnato a mano, un codice miniato ma solo che al posto di un angelo o di altre figure allegoriche ci sono dei mostri con occhi grandi e fuori dalle orbite che osservano il lettore con uno sguardo vuoto, morto.
È scritto in caratteri talmente grandi che i disegni sembrano afferrare le lettere per darsi lo slancio ed uscire fuori, recita:
“Non è morto ciò che può giacere in eterno
E in strani eoni anche la morte può morire.”
La bocca dello stomaco si contrae, non si riesce a staccare gli occhi da quella pagina e allo stesso tempo un disagio profondo, accompagnato da brividi di repulsione, fa distogliere lo sguardo.
Dopo aver finalmente sbattuto le palpebre si nota che c’è una figura slanciata, un’ombra scura a braccia conserte che osserva dall’altra parte della libreria.
Ancora in preda al disagio, si prova una lieve vergogna e rinculando si nota facilmente un piccolo cartoncino scritto, incollato sulla porta a vetri:
“Si riceve solo su appuntamento”.