una notte in centro

Stanotte cammino a lungo, strade svuotate, no auto.
Senza luna, ma con tutti i lampioni accesi, vedo i resti di un concerto rotolare lungo i marciapiedi, lo sporco appollaiato sul muretto sotto le mura del Castello dell’Imperatore.
Il faro verso Piazza delle Carceri vibra forte, il ronzio elettrostatico copre il silenzio in un’area di alcuni metri per poi sparire come se non esistesse, chiuso in una bolla di rumore che sta lì e si fa i cazzi suoi, indisturbata.
Nel mezzo della piazza disadorna c’è un piccolo scivolo dipinto di rosso, con la scala lucidata dalle mani e dai piedi di milioni di bambini che ci sono saliti su per poi lanciarsi sorridenti o in apprensione per quella breve rapida discesa.
Mi isso goffamente in cima e mi siedo con il cul0 che non entra nello scivolo.

Guardo la luna sopra i mattoni della chiesa di San Francesco e resto imbambolato fino a quando non sento uno stridìo provenire da qualche parte, come il verso di un uccello sgraziato.
Mi risveglio come da un torpore dolce e caldo. cammino fino a Piazza del Comune, passo sotto le finestre mentre gli abitanti del centro sognano i loro sogni; sento russare pesantemente da una finestra aperta al primo piano.
La fontana illuminata del Bacchino mi accoglie silenziosa, l’acqua placida e ferma.

Tra le panchine e la statua di Datini c’è un pozzo. Sul bordo ci sono un sasso e una corda da rampicata, di quelle colorate, dal diametro piccolo, fine e allo stesso tempo molto resistente.
Prendo il sasso e lo butto dentro al pozzo, dopo molti secondi arriva il tonfo. Non c’è acqua, ed è comunque parecchio profondo.
Guardo la corda, mi guardo in giro, riguardo la corda e poi guardo la statua di Francesco di Marco Datini, con una mano mi porge delle lettere di cambio e con l’altra rivolta verso l’alto sembra mi dica, "dai bischero, eh son qui io, gnamo".
Allora scavalco la ringhiera bassa e faccio un bel nodo intorno alla statua e poi scendo nel pozzo con la corda fissata.
Mi calo, è buio e penso che sia un bene, visto che soffro di vertigini.
Sbofonchio e mi affanno con la pancia stretta tra la postura del mio corpo che scende e la parete asciutta.
Scendo per un tempo infinito poi tocco il fondo con i piedi e risento lo stridulo verso di prima, "sei orgoglioso di me uccello cacacazzo?"
Mi metto seduto appoggiato alla parete, tirandomi le gambe al petto.
Ci vorrebbero un guantone e una palla da baseball ma allungando una mano trovo una mazza d’alluminio. Mi pare giusto.
La luce della luna è lassù, lontanissima. Il buio è praticamente ovunque.

Si sta bene in fondo al pozzo, se poi trovate una mazza con l’impugnatura che si adatta perfettamente alla vostra presa, meglio: è un consiglio.