Sul treno

Il rumore del treno mi culla, appoggio la testa al finestrino di questo scompartimento antiquato e vuoto.
Qualcuno bussa alla porta, apro gli occhi e mi alzo mentre il vagone sobbalza leggermente.
Un tamburino dell'esercito confederato americano, con la testa esplosa da un colpo sparato troppo da vicino, mi chiede il biglietto. Glielo mostro, lui lo vidima e mi augura buon viaggio.
Accosto lentamente la porta dello scompartimento che scorre senza rumore fino a chiuderla completamente e mi rimetto a sedere.
Fuori il buio ha lasciato il posto ad un chiarore tenue che proviene da est, oltre le montagne. Stiamo rallentando, apro il finestrino per far entrare un po’ d’aria fresca, una voce da fuori mi grida per sovrastare il rumore del treno che continua a correre:
-Buongiorno! Mi fa entrare?
Rispondo affermativamente al vuoto davanti a me e faccio un passo indietro. Dopo qualche secondo vedo spuntare una gamba e poi anche l’altra e una figura imponente si cala dentro lo scompartimento dal tetto del vagone:
-Salve! mi chiamo Sabato, son barone” mi fa l'inchino quest’uomo nero alto due metri, con la pelle lucente e un sorriso bianco smagliante.
Gli porgo la mano che mi stringe saldamente, sento la morbidezza dei suoi guanti  bianchi scamosciati, morbidi e immacolati.
-Si accomodi, Barone.
-Ben gentile! Spero di non averla disturbata”, aggiunge con sguardo divertito.
-No, stavo prendendo un po’ d’aria e penso che dormirò ancora un po’.
-E vuole dormire col finestrino aperto, mio nuovo e ospitale amico?
-Beh, sì.
-È la prima volta che fa questa tratta.
Non c’è la benché minima inflessione di domanda nella sua voce. Chiude il grande finestrino con appena due dita della mano, prima di mettersi a sedere di fronte a me.
-Prima di arrivare sull’altopiano di Leng si passa dalla Stretta e le assicuro che è più confortevole farlo a finestrini ben chiusi.
La voce del Barone Sabato mi culla e mentre ancora gli sorrido, mi assopisco e faccio in tempo a sentirlo aggiungere:
“ … e non si preoccupi, resterò io a fare la guardia”.
Il vagone rincula sotto di noi mentre inizia una lenta e lunga salita.
Ogni tanto fuori si avvertono dei tonfi bassi, molli, sopra lo sferragliare adesso mi pare di sentire dei gemiti.
Avverto il sorriso smagliante del Barone Sabato anche a occhi chiusi, come quello di uno squalo.
Mi addormento.