Sala d’attesa

Il numero che chiama le persone in attesa sembra non cambiare mai, tutti stanno in silenzio, i malati e gli accompagnatori.
Molti stanno chini sul proprio telefono, qualcuno legge un libro. Pochi sonnecchiano o si guardano intorno. Hanno sguardi spaventati, mesti, annoiati, curiosi, sorridenti. Incrocio lo sguardo del mondo in una stanza quattro metri per sei.
Vecchie finestre di legno a tre ante su tre pareti diverse, luce ovunque anche in una mattina lattuginosa di inizio primavera quando ancora fa freddo ma si respira un'aria piena di profumo.
Oggi per un po’ ha fatto capolino il sole e mi sono messo a guardare gli accompagnatori. C’è chi si alza in piedi e ciondola tra le sedie vuote, chi si spalma sulla sedia e chiude gli occhi, alcuni con lo smartphone in mano, chi è teso e chi è rilassato. Poi c’è chi all'improvviso si mette a parlare ad alta voce al telefono e tutto il silenzio si spezza in un attimo, ciascuno sembra riscuotersi dal torpore. Scatta il numero successivo.