La terra sotto i miei piedi non si vede perché tutto resta coperto da queste larghe foglie gialle e marroni inzuppate di pioggia.
Gocce continuano a cadere dagli alberi intorno, nonostante là sopra il cielo oggi sia completamente sgombro e di un azzurro così intenso da farci le foto.
Ma io sono dentro a questo ventre scuro che odora di umido e muschio, cammino con le mie clark marroni bucate e sono lì che penso che eppure le avevo buttate via o forse no.
Non si muove nulla a parte me in questo bosco umido. Non c’è un cespuglio, non un masso ma solo filari di alberi grigi che vanno su dritti e piantati a distanze regolari l’uno dagli altri e le foglie a terra e le foglie ancora sugli alberi.
Ma quante cazzo di foglie ci sono? Che alberi sono? Sono ignorante in fatto di nomi di piante, di impronte di animali, sono ignorante di qualsiasi cosa stia ad un palmo dal mio naso.
Cammino da solo, quasi mi reggo in piedi per miracolo e nel frattempo mi infilo sempre più dentro a questo bosco vuoto a parte gli alberi grigi e a terra le foglie gialle e marroni inzuppate di pioggia.
Voglio tornare in Place des Vosges su quella panchina dove sono morto, fammici tornare solo un momento.
Era una mattina limpida col sole che cercava di scaldare inutilmente perché è freddo, è proprio freddo, di quelli che ti sgorgano da dentro e colano a riempire tutto lentamente ed inesorabilmente.
Dai, fammici tornare solo un momento su quella panchina mentre quel ragazzo si allena al triplo salto in lungo.
No.
Sono arrivato.
Al centro di questo bosco del cazzo c’è un albero enorme, completamente spoglio. Nero, mezzo bruciato, mezzo strappato via. Si vedono segni di ascia, lama e rami spezzati. Eppure non è morto.
Ci sono resti di cappi appesi ai rami più alti, qui l’odore prevalente è di cose morte.
Giro dietro l’albero e trovo una lapide con scritte runiche di cui non ho alcuna cognizione ma non me ne frega nulla.
Sorrido.
Mi metto in ginocchio davanti alla pietra e inizio a scavare quella terra nera e grassa a mani nude. Sudo, mi tolgo la maglia, la getto via. Canto sommessamente qualcosa di familiare ma che non metto a fuoco perché sono totalmente assorbito dal togliere la terra tra me e quello che sono tornato a prendere.
Cala il buio presto ma ormai ho fatto.
Rido soddisfatto.
Precipitano gli eventi.