Ho chiuso la porta di casa e me ne sono andato.
Zaino leggero, cuore e testa pesanti e poi verso la stazione.
Attraverso il parco e noto un simbolo antifascista disegnato sul fianco della fontana rialzata.
Non ce n'è mai stato il bisogno di dover ricordare una cosa così elementare da queste parti, tutti qui sono antifascisti, anche se per l'autore del disegno non deve essere così.
Probabilmente ha l'idee più chiare lui.
Entro nell'atrio della stazione dopo aver superato il capolinea degli autobus della città: gente di ogni colore, religione, status sociale tendente al basso, bassissimo, qualche stralunato turista, tutti negli occhi hanno quella luce di chi è a disagio, di coloro che si trovano in un posto che non è il loro.
L'atrio della stazione è dominato dal grande pannello dei treni in partenza, poi la biglietteria a grandi vetrate e il bar, sempre aperto, su un lato.
Prendo il biglietto e mi avvio al binario, magari riesco a prendere un treno prima che mi porti alla Grande Stazione dove potrò prendere un Treno Velocissimo.
Partire mi è sempre piaciuto, partire mi mette sempre molta agitazione: è uno spostamento di punti di vista, si abbandonano i rassicuranti luoghi domestici, si va verso l'imprevisto. E quando anche la destinazione è incerta, allora l'agitazione si fa palpabile, ne percepisci i contorni, la senti fremere sotto le dita.
La destinazione, trecento chilometri più a sud mi attende con tutti i suoi punti di domanda: cosa vuoi? perché qui? chi sei tu?
Sospiro mentre prendo posto sul treno, vagone deserto, non passerà nemmeno il controllore: nel frattempo fuori dal finestrino scorrono via edifici e strade che conosco; passo accanto a luoghi che sarebbero potuti essere casa mia e che invece non lo sono diventati. E tutte le volte che passo di qui mi interrogo sempre su quante aspettative, quante valutazioni errate ho fatto. Mi interrogo sulle scelte fatte o meno. Quante volte mi sono sentito sicuro di qualcosa che in fondo sicuro non era. Perché mi ero comportato così? Cosa mi ha spinto a fare le scelte che ho fatto?
Il treno mi risponde con il suo rassicurante sferragliare, dondolando ad ogni scambio.
Dopo due fermate arrivo nella Grande Stazione, scendo dal treno e sono accolto da un boato di voci, annunci e treni in movimento. Qui i turisti soverchiano in gran numero qualsiasi altra categoria umana. Sono ovunque, chi in infradito, chi col piumino. Mi chiudo fino al mento il mio giubbotto da motociclista senza motocicletta, sintesi perfetta.
Supero la gente, entro nella sala d'attesa e mi butto letteralmente su una poltrona, in attesa del Treno Velocissimo.
Chiudo gli occhi e penso a cosa vado incontro. Nuove persone, forse nuovi sorrisi e forse nuovi amici, e magari abbracci.
Ecco, con gli occhi chiusi, sorrido alla sala d'aspetto e mi godo quell'idea di abbraccio amichevole, accogliente di sconosciuti che mi accolgono come loro simile, come una persona. Nemmeno fossi un mostro, sono altro, diverso.
Mi sento stanco, mi sento solo. Mi prendo il viso nelle mani, e le muovo su e giù come a mandare via una ragnatela di brutti pensieri.
Mi alzo e vado al binario, hanno appena annunciato il mio treno.