La panchina

Io non mi siedo quasi mai su una panchina da solo, non l’ho mai fatto. O quasi mai.
Una panchina è un posto fuori dal mondo, così familiare ai miei occhi, nella memoria visiva, nel mio mondo quotidiano eppure se mi siedo da solo su una panchina è come se il tempo si fermasse. Sono magari vicino l’ufficio, o comunque in un luogo familiare ma lo vedo da tutt’altro punto di vista. Sono da tutt’un’altra parte.
Mi siedo e cambia tutto, solo impercettibilmente ma quel tanto che basta perché anche i miei pensieri, la vista e l’udito cambino.
E sono anche io differente da come ero fino ad un momento prima di sedermi e come ritornerò ad essere appena rimessomi in cammino.
Adesso però son qui.
Sento il legno sotto le dita delle mani.
Appoggio la schiena e mi godo il tepore che mi restituisce di questo sole di gennaio.
Respiro con più calma, rallento.
Mi siedo ed il rumore del traffico si attutisce come se qualcuno girasse la manopola del volume verso il basso.
Anche le ansie seguono il rumore delle auto e si affievoliscono e la mente si fa più pulita.
È bello alzarmi da una panchina perché mi sento ristorato e migliore.
E vado.

C’è una panchina vicino a dove lavoro, sarà stato un marzo, ecco io su quella panchina sono morto, in qualche modo.
Sì.
E ogni tanto la guardo quella panchina, ci passo e mi vedo in quel momento. Vedo tutto quello che ero in quel momento.
Ritorna tutto come fosse adesso eppure sono altro e tanto tempo fa.

A Firenze, in centro, c’è un’altra panchina in cui invece una volta sono esploso. E da quella panchina non ci devo nemmeno passare e vederla davvero. Chiudo gli occhi e me la ricordo benissimo, grigia e fredda, all’ombra. E c’era vento almeno nella piazza da cui ero arrivato, un vento sorprendentemente freddo ma la panchina, il tepore su quella panchina no che non me lo scordo. Una panchina su un marciapiede addirittura, un gran passaggio di persone a tutte l’ore del giorno e della notte.
Eppure non c’è al mondo una panchina più bella di quella.
Mi ci devo sedere ancora su quella panchina.
Bisogna proprio mi ci provi.
Chissà che succederà stavolta?
Presumo mi limiterò a sorridere in qualche modo sghembo.

Poi mi vengono in mente altre panchine in cui mi son disteso a guardare le nuvole passare e in cui ho chiuso gli occhi ed ho ascoltato tutto quello che c’era da sentire oppure non sentivo nulla e respiravo aria buonissima, piena di erba tagliata da poco, piante in fiore e resina degli alberi.

È bello alzarsi da una panchina anche quando ci sono morto una volta, in qualche misura.
Vado.