Tempesta

Quanti muri ho strusciato in questi mesi alle tre del mattino con il sapore amarognolo della birra in bocca e la vescica piena. E quante strade solitamente vive e piene di gente ho visto deserte, addormentate nel cuore della notte, o subito prima l'alba.
E l'aria, l'aria che ho respirato in quei momenti, l'aria placida di un giorno che si rinnova senza essere disturbato.

Il rumore dei miei passi è ovattato in tutto questo silenzio.
E cammino.

Ci sono i ricordi brutti, e poi ci sono quelli molto brutti ma poi ci sono i miei bambini, i passi non hanno momenti di cedimento o incertezza.
Cammino respirando quest'aria che sa di buono anche dove di solito sa di smog; cammino e nessuna ombra minacciosa si muove intorno a me.

Il silenzio sotto i lampioni in piazza del Duomo è totale, mi siedo sotto la statua del massone che indica il pulpito di Donatello. Mi appoggio e sorrido.
Chiudo gli occhi un momento, chiudo gli occhi per un'eternità in questa notte d'estate e rivivo tutto.
Non sento più male.
Sorrido.

Poi un brontolìo cupo si srotola sopra la piazza. Non apro nemmeno gli occhi, mi tiro su il colletto della polo mentre mi sistemo ancora meglio sul marmo dei gradini, son quasi disteso.
Vento caldo e via via più fresco e più intenso spinge grosse gocce di pioggia, cadono rade e i tuoni si fanno più vicini e rumorosi.

La pioggia aumenta, resisto ancora un po', mentre i fulmini sembra abbiano raggiunto il loro obbiettivo su cui si accaniscono con forza.
Piove forte.
Inizio a ridere, rido anche io forte per le orecchie di nessuno, non riesco quasi a sentirmi da quanto è forte il rumore della pioggia, il vento e i tuoni tutt'intorno.

Corro scivolando a ogni passo, rido, e corro, giù fino in piazza del Comune. Trovo riparo sotto il loggiato. Mi scrollo di dosso tutta l'acqua che posso e mi appoggio in piedi a una delle colonne, ancora tiepide.

Alzo lo sguardo sopra il palazzo Pretorio: ti saluto, Tempesta.