Sul fiume stamani

Mi sono svegliato, il cielo è grigio cupo, non sono più abituato.
Ho appoggiato i piedi sul pavimento fatto di assi di legno crepato e liso della chiatta in cui mi son svegliato stamani e che sulla fiancata porta ancora a lettere sbiadite il nome di un tempo, Vaffanculo.

Sono uscito e una cornacchia ha zampettato sul parapetto arrugginito per darmi il buongiorno. Ho guardato giù verso il fiume limaccioso e alla fine qualcosa ho visto.

L’ultima volta che sono stato dalla psicologa non ho avuto una gran soddisfazione, speravo mi desse un pezzo di carta da mettere al muro di una casa rispettabile, un certificato su cui fosse scritto “Simone Martelli è sano di mente” o qualcosa del genere. E invece nulla. Anzi, una cosa veramente me l’ha lasciata, un’ultima domanda.

Sono sempre stato impulsivo, ho sempre avuto bisogno di arrivare subito alla conclusione del problema. Non potevo aspettare una riflessione, una pausa strategica, un respiro di concentrazione. No. Sono sempre stato un soldatino da assalto frontale, completamente dedito alla causa, completamente dedito a qualsiasi causa. Ignaro nel modo più assoluto di avere sempre in ogni causa il mio destino segnato dal ruolo di soldatino da assalto frontale.

Il fiume è come il tempo che scorre. Riuscire a fermarmi a guardarlo mentre mando giù un caffè allungato con latte scaduto è come riuscire a vedere le cose che sento, salire a galla, vorticare davanti a me e lasciarle gorgogliare via, a valle, senza toccarle, senza giustificarle, classificarle, trovare loro la corretta e giusta, soprattutto giusta, collocazione.
Osservo cose che avrei salvato, conservato, accudito e protetto dal mondo scivolare via.
Guardo il cielo grigio scuro, con sguardo assorto mi gratto le palle e rientro. Ho del lavoro da fare oggi.