18 anni senza Fabrizio De André
Avevo 20 anni ed ero pieno di menzogne.
Un giorno chiesi a Daniele che ne era già all’epoca un gran cultore, di passarmi dei cd di De André che con quella voce così bassa e lugubre all’apparenza mi disturbava.
E poi che senso ha fare un disco su Gesù? Però questo aveva fatto un concept album, forte. E poi la malinconia di Marinella, la violenza insensata de La Guerra di Piero, subito imparata con la chitarra, io non riuscivo a sostenerle. I problemi non li volevo nemmeno vedere all’orizzonte, figuriamoci ascoltare canzoni perfette sulla debolezza dell’Uomo, canzoni che parlavano delle mie debolezze, dei miei limiti.
Ho perso di vista Daniele e anche De André.
Poi anni dopo, potrei dire del tutto per caso, ho ripreso il live con la PFM e beh, lì è cambiato tutto. Qualche anno dopo ero pronto a intuire e poi col susseguirsi degli ascolti a fare miei quei tormenti, parlavano anche di me, parlava di sé e parlava di me come solo l’arte sa fare.
Ogni volta che penso a De André, penso al Dottor Balducci della farmacia di Calenzano, Francesco. E allora mi manca lui e mi manca De André e io scrivo tutto questo perché dopo 18 anni a me girano ancora molto i coglioni.
Qui in Sardegna portiamo ancora il lutto per la scomparsa di De André, sensi di gioia che fu, sensi di musica da toccare, sensi di colpa.
— La peau douce (@la_peau_douce) 11 gennaio 2017