Le scale della cantina hanno sempre avuto su di me un fascino controverso, ne sono sempre stato attratto e allo stesso tempo spaventato. Sarà stato quello scendere poggiando i piedi su gradini apparentemente instabili, oppure l’odore di chiuso mescolato a quello dell’umidità e delle cose lasciate lì ad aspettare in eterno: una vecchia cyclette, le scatole del Subbuteo, addobbi natalizi ormai dimenticati, nascosti dalle vecchie tende da campeggio con la paleria rotta ma che nessuno si deciderà mai a buttar via. La sottile inquietudine della porta della cantina socchiusa è lì che mi fa l’occhiolino, e mi vengono in mente un imprecisato numero di film horror, mentre afferro la maniglia e la spalanco, le scale scendono verso il buio. Accendo il neon che lampeggia ormai esausto e ronzante. Scendo in un fiato e mi ritrovo in questo silenzio da sottosuolo dove c’è fresco d’estate e tepore d’inverno. Tiro sotto la lampadina che penzola nella stanza la poltrona mezza sfondata, ci sistemo sopra vecchi cuscini impolverati, mi ci lascio cadere e con una gamba mi avvicino un grande barattolo di vernice che chissà da quanto tempo è qui. Ci appoggio i piedi sopra.
Si sta una meraviglia.
Posso finalmente mettermi a leggere con tutta l’attenzione e la voglia l’ultimo romanzo di Alex Trash, “Un oceano del colore di un canale tv non sintonizzato”. Amo la fantascienza e amo leggere senza che nessuno mi disturbi. Delle mosche hanno preso a ronzarmi intorno: grossi mosconi neri insistenti mi sfiorano e mi passano tra i capelli, sulle braccia, sul viso.
Mi alzo stizzito.
Il vecchio congelatore ha smesso di funzionare da un pezzo e non me ne sono proprio accorto. Bestemmio ad alta voce e tiro un calcio al vecchio elettrodomestico rotto. Avvicinandomi sento ormai anche l’odore. Tiro fuori dalla tasca dei jeans il fazzoletto rosso e me lo lego sul naso e sulla bocca. Apro il portello del congelatore e il fetore esplode in tutta la stanza. Un nugolo di mosche sciama dappertutto. La testa del capofamiglia è rivolta verso di me e mi guarda ancora con quello sguardo inetto tra il sorpreso e lo spaventato. Sotto la sua testa c’è il resto del suo corpo e quelli dei figli e della moglie fatti a pezzi. Un lavoro che mi è costato ore di sudore e fatica e adesso devo mettermi a lavorare di nuovo. Impreco ancora una volta.
Getto il libro sulla poltrona che spingo poi contro una parete. Mi guardo intorno in cerca di un suggerimento. Poi scorgo la soluzione, un piccone e una pala, relativamente nuovi, in un angolo in ombra.
Scavare una tomba dentro una cantina, una novità affascinante.