Era la sera del 31 ottobre 2021 e in via Calimara era tutto tranquillo.
La pizzeria da asporto di Lino era in piena attività, le persone che facevano le consegne entravano e uscivano con i loro borsoni termici. Le macchine da cucire dei due laboratori dei cinesi che abitavano sopra i locali, dall’altra parte della stretta strada a senso unico, erano finalmente silenziose. Avevano lavorato anche tutta quella domenica. Il vecchio stronzo che abitava in fondo alla via era fuori con i suoi cani che abbaiavano a chiunque a meno di cinque metri da loro, e se non c’era nessuno abbaiavano tra sé, quegli stronzi.
Io ero alla finestra della camera che dava sulla strada, nel mio appartamento al primo piano, al civico 18. Mi grattavo il culo e con l’altra mano salutavo uno dei ragazzi della pizzeria. Mi staccai da lì e ciabattai attraverso il disimpegno dove c’era il ripostiglio, fino all’ingresso salotto, gettai uno sguardo carico di promesse al divano rosso; accanto alla tv una piccola porta dava su un mini bagno piastrellato; annusai che non ci fosse puzza d’acqua morta e richiusi la porta. Entrai in cucina. Attraverso una porta finestra, in quel momento aperta, si accedeva su un terrazzo grande. E da lì fece il suo ingresso Gatto.
Gatto era un gatto nero dal pelo lucido che sembrava a volte avere riflessi blu o viola, ma del resto io sono sempre stato daltonico, quindi chi lo sa. Gatto era enorme, pesava una quantità di chili impossibili per un gatto, eppure era capace di gesti felini di tutto rispetto, tipo camminare sul tavolo rovesciando qualsiasi cosa, piazzarsi disteso dietro una porta chiusa che diventava impossibile da aprire perché lui non si sarebbe spostato nemmeno a cannonate. Quella roba lì. Aveva però qualcosa di eccezionale, oltre alla stazza, Gatto aveva un occhio sano e un occhio completamente opaco, perlaceo, che a volte cambiava sfumatura e sembrava vorticare, almeno quando non ero proprio sobrio.
-Che cosa cazzo hai da guardarmi, Bellosguardo?
Silenzio e sguardo monocolo fisso. Baffi in modalità relax. Si mise a sedere sul suo portentoso posteriore vicino al forno.
-Vuoi mangiare, eh? Dai, vediamo se mi è rimasto un po’ di pollo arrosto, quello che ti garba tanto, con tanti ossicini. Hai visto mai che ti restino di traverso, no?
Mentre curavo quella creatura obesa, che si era introdotta in casa mia e nella mia vita con un certo stile ormai alcuni mesi fa, giù in strada passavano i bambini a fare dolcetto o scherzetto. Non avrebbero mai suonato ai campanelli del nostro piccolo palazzo.I campanelli del nostro stabile contenevano il mondo: nomi moldavi, nomi pakistani, fino a un nome che in cinese voleva dire “bocca d’oro” ma questa sarebbe un’altra storia. Il mio campanello era quello più in basso e allora c’era scritto semplicemente “Porco il Vostro Dio”.
Non lo potevo sapere ma in quello stesso momento una mia vecchia conoscenza, una signora molto piccola, piena di rughe e un odore non proprio gradevole, stava camminando lenta e tenace, come faceva sempre, sotto la mia finestra. Né potevo sapere che con un sorriso furbetto, coi suoi denti gialli e marci, s’era messa a mormorare qualcosa in una lingua sicuramente morta e dimenticata da quasi ogni dio e uomo. Dopodiché aveva soffiato verso la finestra e dalla sua bocca insieme al suo soffio era uscito qualcosa, in realtà molte piccole cose, nere e volanti.
Gatto sgranocchiava il resto del pollo arrosto come un mastino napoletano, intanto quelle strane zanzare entravano in casa mia senza che me ne rendessi conto.Presi una birra dal frigo, e mi misi seduto sul terrazzo, a respirare l’aria non fredda di quella sera.-Maremma maiala, zanzare di merda. Cercavo di schiacciarne almeno una ma quelle stronze continuavano a pizzicarmi nonostante due zampironi accesi.Gatto saltava goffamente per prenderne qualcuna ma finiva tra i vasi vuoti, oppure a pancia all’aria sul pavimento del terrazzo.
Dopo la terza birra e dopo aver visto Gatto esibirsi nell’ennesimo spanciamento inutile per catturare una zanzara che si faceva beffe di lui e dei miei zampironi, chiusi la porta e rientrai dentro. Accesi la tv su un canale a caso e mi stravaccai sul divano rosso. Mi addormentai all’istante.
Verso mezzanotte mi svegliai incazzato come un toro, le zanzare mi avevano usato come puntaspilli. Spensi la Tv e accesi le luci. Sui muri ce ne saranno state venti, o forse trenta, anche sul mobile della tv, sulla porta del bagno piccolo e sulla porta d’ingresso.
-Siete un fottuto milione, piccole merde.
Andai a pisciare nel bagnetto, presi della carta igienica, la bagnai nel lavandino e così armato iniziai a schiacciare quelle merdose piene del mio sangue. Ogni munizione di carta igienica e acqua riusciva a contenere due, tre zanzare al massimo, da quanto erano gonfie. Il mio sangue, maledette vampire di merda.
Feci la spola col bagno minuscolo almeno sette, otto volte, e alla fine non ne vidi più nessuna. Perlustrai tutta la casa ma non ne trovai altre. Gatto si sedette guardando verso il bagno piccolo dall’arco tra la cucina e il soggiorno.
-Cosa c’è, Gatto? — L’occhio perlaceo emanava una luce tutta sua — maremma bucaiola!
La luce del bagno, rimasta accesa, iniziò a spegnersi e riaccendersi. Mi affacciai dentro e vidi il water ribollire di sangue, carta igienica, cadaveri di zanzare, e piscio.
-Gatto? Stai facendo uno dei tuoi giochi di prestigio? Mi guardò dritto negli occhi anche con l’occhio sano. No, non era stato lui. Ma non pareva nemmeno preoccupato, o spaventato. Avessi potuto osservarlo con più calma, avrei detto che stesse sorridendo, come quando pregusti una bella scena che sta per accadere.
Riguardai dentro al water che adesso oltre a ribollire, vorticava con furore. Sopra la mia testa la luce era ormai quella stroboscopica di un club equivoco degli anni ’80.
Il mio cervello elaborò in sequenza:
“Vaffanculo, ora si fulmina la lampadina — abbassai il coperchio del water.
Ma quanto cazzo ho bevuto? — tirai la catenella dello sciacquone.
Devo fare gli esami del sangue. O forse delle urine. — La catenella mi rimase in mano.
Ora chi la sente la padrona di casa?” Una mano marrone e verde scuro, dagli artigli neri, sbucò da sotto il coperchio del water.
Alla prima, seguì una seconda mano, e poi il coperchio del water esplose.
Una testa di serpenti neri e marroni e due fessure di occhi gialli mi scrutavano.
Dalla bocca spalancata della creatura una lingua grigiastra lambiva il pavimento.
Alla testa seguirono le braccia e il busto, il mostro emergeva dal water.
Un odore di merda pestilenziale esplose nella casa, caddi con il culo sul pavimento combattendo contro i conati di vomito.
Un refolo d’aria attirò l’attenzione della parte di corteccia cerebrale atta alla sopravvivenza; mi fiondai verso la finestra aperta sulla strada. Mi sporsi verso l’aria fresca e vidi la signora Chong sull’altro marciapiede. Rideva, rideva tantissimo, mi guardava e rideva. Quando i nostri sguardi si incrociarono lei rise ancora più forte, tenendosi la pancia, cercando di tapparsi la bocca con una mano e con l’altra smanacciando l’aria come in segno di resa. Piangeva dal ridere, e si lamentava contemporaneamente per il troppo ridere. Si mise seduta a terra ridendo ancora di più.
Gatto si issò tra la pancia e la finestra per guardare fuori.
-Mi fai le fusa, adesso?
-Ma cosa…?! Mi voltai e vidi il demone del water venire verso di me, fece un cenno di saluto, quello che mi parve un sorriso, e sparì in una nuvola di merda che lasciò un ricordo di sé molto persistente.La vecchia, cara signora cinese, la stimatissima signora Chong, ancora ridendo con quella vocina da nonnina cinese, fece due passi verso la mia finestra. Alzò quel viso quadrato, increspato di rughe in tutte le direzioni, mi sorrise e mi disse:
-Bòn Alouìn!
S’inchinò e poi prese a camminare in mezzo alla strada, accompagnata dai lampioni che si spengevano e accendevano al suo passaggio. Via Calimara deserta.
Oriente e Gatto augurano Bòn Alouìn anche a voi.