Solitudine ammobiliata
Ci sono anniversari che non si festeggiano perché non c'è niente da festeggiare.
Guardo queste pareti, questi mobili, questo spazio e mi guardo un anno indietro: m'investono ricordi diversi, emozioni, sapori, suoni. Lo vedo questo anno passato in un lampo doloroso e abbacinante. Lo sento nei muscoli e sulla pelle, lo guardo negli occhi allo specchio, nascosto sotto una lunghissima barba per lo più nera.
Ha il sapore ferroso del sangue, ha l'odore pungente del sudore e lo sguardo perso nel vuoto di un ubriaco stravolto che cammina rimbalzando sui muri del centro di Prato.
Quest'anno è sempre le tre del mattino in un viale Piave deserto, è il bisogno di svuotare la vescica per le troppe birre bevute come se ci fosse un oceano di birra da svuotare bevendo, pinta dopo pinta. Ho ballato e bevuto con sconosciuti, ho fatto amicizia in mezzo alla strada e in un battito di ciglia.
Ho capito di aver perso tutto quello che temevo di perdere e di essere rimasto stupidamente vivo.
Mi stendo, sento battere ogni fibra del mio corpo. Guardo, vedo tutto.
Ascolto con ogni mia più piccola cellula e, che lo voglia o meno, registro ogni singola cosa.
Respiro a tempo, chiudo gli occhi e ti sento ovunque tu sia.
In quest'anno ho voluto vivere soprattutto fuori da queste stanze, via da questa solitudine così accuratamente arredata con gusto.
Di mio ci sono i letti, due scaffali di legno, un poster e tutta la disperazione che son riuscito a distillare fuori da me.
È una solitudine ammobiliata; è la mia, ho il contratto.