So far no good

So far no good

Cammino su questo asfalto scuro con le righe gialle nuove; camminare con le Clarks è come camminare quasi scalzi e se cammini appoggiando il peso sul tallone ti fai male in pochissimo tempo. Devi camminare poggiando il passo sulla parte anteriore della pianta del piede, come faccio io.
Sembra quasi morbido quest'asfalto scuro che si srotola davanti a me verso un bosco di castagni.
La foschia della notte resiste e incombe con grossi ammassi bianchi e lattiginosi, poi si dirada all'improvviso, scoprendo alberi e cespugli ai bordi della strada da entrambe le parti.
L'umido che sentivo addosso è sparito qualche chilometro fa e un po' di sudore mi cola dalla schiena e dalle ascelle sotto una delle tante camicie a quadri che possiedo, questa è quella verde, gialla, marrone e bianca.
Tengo le mani nelle tasche davanti dei jeans e cammino un po' in avanti, procedo per piccoli passi, in salita. Sono ubriaco da non mi ricordo quanto tempo. Forse era ieri sera, forse di più. Uno ha il diritto di essere ubriaco di tanto in tanto, è un diritto.

Io sono molto ubriaco.


Se non mi fermo subito, mi piscio addosso. Mi giro d'improvviso alla mia destra e mentre con una mano mi appoggio ad un tronco con l'altra mi sbottono i pantaloni, faccio appena in tempo.
Qui con la mano su un leccio o un castagno, per quanto ne so potrebbe essere una sequoia secolare, sento il calore dell'albero e quell'assoluta completa soddisfazione di uno che riesce a pisciare giusto in tempo, dopo che l'ha trattenuta per troppo tempo. Ma che cosa sensazionale è? Sensazionale, anzi no, fotonica.

Cosa vuole la gente? La gente vuole essere amata, ascoltata, servita, rassicurata, coccolata, blandita, considerata. E io che cosa voglio? Io voglio tutto.
Faccio un bel respiro mentre mi rimetto a camminare, adesso è uno di quei momenti in cui non si deve cadere nella sbronza auto-commiserativa o in quella complottistica, che poi sono la stessa ma con sfumature leggermente differenti. Pesta su quei piedi, mi dico. Muoviti, vecchio catrame. E io mi muovo.

La gente vuole, la gente pretende. La gente prende e non dà. La gente. "La gente" è già un modo di dire per prendere le distanze: non esiste la gente, esistono le persone e le persone siamo io e te e te e questo è quello che mi fa male.
Ho il fiatone, svolto lentamente su per una curva in salita e mi trovo un cerbiatto immobile in mezzo alla strada. Mi guarda con quello sguardo stupido o stupito o probabilmente entrambe le cose insieme. Io lo guardo rincoglionito come sono: è uno scambio di sguardi di un certo livello. Mi metto a ridere e lui mi guarda ancora un po', poi decide che non sono una gran compagnia e se ne va con due balzi dentro al bosco. Cerco di seguirlo con lo sguardo ma in poco tempo è già sparito.
Riprendo a camminare e dopo pochi passi sono sicuro di essermelo immaginato.

Le persone si fanno i cazzi loro, sono egoiste ma più che egoiste sono disattente, superficiali, distratte da fantasmi di pensieri grandi e piccoli, a volte solo immaginari. E mentre penso tutto questo mi rendo conto di quanto stia pensando cose ovvie, stupide e rancorose. I pensieri di un ubriaco sono solo un caleidoscopio privo di senso. Sospiro.

Vorrei essere migliore. Mi fermo un secondo, piegando il busto un po' a destra e alzando leggermente il piede sinistro,  lascio andare una scoreggia imponente.

selective photo of black high trees under white sky at daytime
Photo by Mark Olsen / Unsplash