Mi sveglio con un’erezione prepotente che mi intralcia anche nel girarmi sotto il piumone.
Una lacrima mi cola dall’occhio sinistro. Il mio corpo si sta svegliando un po’ per conto suo, a velocità differenti.
Non sento nessun rumore provenire da fuori. Potrei essere rimasto l’ultimo uomo sulla faccia della Terra, con un’improvvida erezione e dalla lacrima facile (#selfie).
Mi giro a pancia sotto e chiudo gli occhi annusando vaghi echi dell’ammorbidente sulla federa del cuscino, ne inspiro le ultime tracce.
In questo momento potrei fare qualche pensiero sconcio, richiamare un vecchio incontro, riviverlo nella mia mente. Oppure potrei immaginare una fantasia nuova di pacca. Invece no, non mi va. Senza un giudizio sul fatto, ne prendo atto e basta.
Sfrego il viso e penso a chi amo. Nella mente sfrecciano volti: da quelli più vicini a quelli più lontani, geograficamente o nel tempo. Quelli che amo anche se non chiamo mai, anche se non scrivo loro mai. Li penso e li tengo dentro di me, vivi.
Sospiro appena, mugolo compiaciuto del tepore.
La mia è una barca anche grande ma praticamente disabitata: ci sono le cose di Verdun che lascia di volta in volta, comprese quelle abbandonate in un angolo dal suo crescere.
Ci siamo io, le sue cose e le cose della Rossa Tatuata, alla deriva del dormiveglia in un qualsiasi giorno di festa.
Contraggo gli addominali e spingo verso l’alto il culo, cercando di far schioccare la parte bassa della spina dorsale. Allo schiocco provo un fugace ma totale godimento.
La lacrima solitaria è asciutta, tutto è al suo posto.