Cucinare ha su di me un potere terapeutico che non so spiegare, forse ha a che fare con l’attività manuale, l’entrare in contatto con oggetti, tagliare, affettare, mescolare, giudicare a colpo d’occhio.
Ha a che fare con la creatività, l’intuito e anche con la capacità d’apprendere del fare e del rifare gli stessi gesti di volta in volta.
E ha a che vedere con il prendersi cura di sé e di chi ami, che siano due fette di pane bianco con la Nutella per Verdun o una ricetta che mi invento e che descrivo via messaggio a IlPiccolo-ora-Grande, ricca di sapore e peperoncini.
È sicuramente il suono della lama che sbatte sul tagliere di legno quando trasformo una zucchina in un cumulo di rondelle, tutte piuttosto diseguali.
È il potere di invitare a cena gli amici, le persone a cui voglio bene e rendere questo bene qualcosa di commestibile, fisico e transitorio allo stesso tempo.
È aver voglia di comprare e leggere libri di cucina anche se non ho pazienza e poi mi invento tutto perché quasi tutto quello che leggo lo scordo.
Cucinare è aver voglia di prendermi cura di te.