Dance

Piazza del Duomo di notte, Prato

Allora, vediamo un po', ho ascoltato i Bettibarsantini live al Nuovo Camarillo, bevuto una birra e sorriso.

È una notte mite di primavera inoltrata, non sono abituato affatto a questo clima, non quest'anno. E ho mangiato poco e sono anche leggermente ma proprio appena brillo.

Ottimo.
La musica non mi piace, esco fuori: età media trenta, trentadue anni al massimo. Pieno di musicisti, giornalisti, fotografi, artisti concettuali. Ci sono anche io, voglio dire, mancano proprio pochi pratesi che contano, sì.
Mi gratto la barba, sono vecchio per queste stronzate.

Il concerto è finito: durata punk. O che sia diventato io punk? No, è mezzanotte. Il concerto doveva finire.
Sto scrivendo queste parole sul telefono, in una nota notturna in piedi in mezzo ad una strada del centro storico.

Saluto e mi avvio verso casa, passo in piazza del Duomo e resto colpito dalla sua perfezione così familiare e così raccolta che potrei anche commuovermi. Nessuno a parte me e i lampioni accesi e un po' di primavera che riesce ad arrivare anche qui sul selciato, sotto il pulpito.

Accenno goffi passi di danza nel deserto e nel silenzio della piazza.
Mi sento un coglione, lo sono. Sono intimamente quello che sento di essere e sto male. Sento male dentro, nel profondo. Ed è così in basso che per quanto mi sforzi è distante, distaccato. Lo riconosco perfettamente ma non brucia questo dolore pesante.

Smetto di ballare e ghigno che non so se è un sorriso o una smorfia di pianto. Alzo gli occhi verso il marmo verde e bianco:
"O tu vai in Perù, o tu sposti la Chiesa, o tu vinci al Totocalcio", giusto.