C'è un piccolo paese a picco sul mare che per arrivarci si può percorrere solo una strada stretta che passa prima per una grande pineta e poi per un acquitrino di acqua salata, poi sale impennandosi fino a un gruppo di case, le une addossate alle altre, sovrastate da un campanile di una chiesa che in una piccola piazza domina la costa.
Casimiro Quaresima lavorava come necroforo e custode del cimitero di Marina. Visto che nel paese il cimitero non ci stava, era stato costruito su una parte di terreno roccioso in mezzo all'acquitrino giù di sotto, e visto che era un posto molto bello, ricco di pace, serenità e tutto sommato molto spazio, anche i comuni dell'entroterra ci venivano volentieri a seppellire i loro morti, almeno alcuni.
Così Casimiro Quaresima faceva il becchino a tempo pieno in questo posto pieno di pini marittimi e lecci che proteggevano scarsamente dall'erosione del terreno e dal salmastro ma tanto questo non era il suo problema principale. Di contro c'era sempre un gran bel profumo che a Casimiro piaceva molto fatto di resina di pino e di mare. Viveva poi su a Marina, nella prima casa sulla strada, piccola ma molto accogliente. Inoltre affacciava sulla pineta e sul suo luogo di lavoro, così poteva buttarci un occhio ogni tanto e verificare, anche fuori dall'orario di lavoro, che fosse tutto a posto.
Quella mattina di fine ottobre il tempo era mite e se non fosse stato per l'aria che iniziava a essere frizzante nelle primissime ore del mattino, si sarebbe potuta scambiare per una giornata di inizio estate da tanto era sereno e caldo quel periodo.
Casimiro si vestì con i suoi abiti da lavoro, una camicia di cotone a quadri, dei pantaloni da trekking di cotone pesante con le tasche anche sulle gambe, degli scarponcini da lavoro estivi e come giacca il giubbotto di cotone del servizio forestale di cui aveva fatto parte per quindici anni, adesso chiuso e le cui mansioni erano rientrate sotto l'Arma dei Carabinieri.
Casimiro fece il verso di un saluto militare alla sua immagine allo specchio, e a quel suo sorriso sghembo di quando in fondo un po' i coglioni gli giravano.
Ogni mattina scendere era piuttosto impegnativo, perché se lasciavi andare le gambe giù per quella strada, sarebbe diventata una corsa da rompersi l'osso del collo in terra da quanto andava giù con una certa pendenza e costanza. Gli scarponcini aiutavano ad avere un controllo preciso a ogni passo, il corpo leggermente all'indietro, il bacino leggermente abbassato, Casimiro poteva gustarsi anche quella mattina di bellezza, col sole sopra le colline di Castagneto Carducci a illuminare l'Aurelia e quella enorme pineta che divideva il mondo dal mare in quel pezzo di terra.
Dopo che ebbe superato l'ultimo tornante più ripido, Casimiro Quaresima vide il cadavere di un uomo anziano vagare spaesato sul ciglio della strada.
La prima cosa che Casimiro pensò fu: "Porco Dio!".
La seconda cosa a cui pensò fu che quel giorno avrebbe dovuto sbattersi moltissimo.
-Alvaro! Iniziò a chiamare: "Alvaro! Ma cosa cazzo va' a giro eh? Si smonta tutto, venga, torniamo a casa insieme su. E così facendo prese per le spalle il cadavere che camminava di Alvaro Vannini, nato il 3-4-'23 e morto l'8-1-'89. Le orbite vuote lo fissarono per un attimo e il cadavere si fermò; poi, docile, si fece girare in direzione del cimitero e si lasciò prendere per mano.
- Ma cosa le è preso di andare a giro alla sua età e nelle sue condizioni, eh? La voce del becchino si fece dolce e comprensiva e, con molta calma e qualche frase dopo, arrivarono all'ingresso del cimitero che risultava aperto, anzi, potremmo dire spalancato: un pezzo del cancello era uscito dai gangheri. Casimiro e il cadavere del buon Alvaro si arrestarono per un momento mano nella mano davanti allo spettacolo che avevano davanti:
tutte le tombe a terra erano state scavate dall'interno e non c'era nei dintorni nessuno dei suoi abitanti.
- Maremma maiala ladra puttana! Alvaro, mi faccia la cortesia di rimettersi da solo a posto e di restarci buonino sennò, quanto è vero Iddio, vi infilo tutti nei fornellini anzitempo e ammassati gli uni con gli altri, poi voglio vedere come ve la cavate, eh.
Il cadavere di Alvaro Vannini prese lemme lemme la via della propria tomba, sesta fila a destra, terz'ultimo posto da sinistra. C'era una croce semplice di pietra e una foto di quando avrà avuto una sessantina d'anni massimo, la faccia sorridente e gli occhi di uno che sembra saperla lunga.
Casimiro si massaggiò la faccia, poi prese a grattarsi nervosamente la barba e la testa. "Che palle, pensò. Ma che palle, cazzo." Una volta rientrati tutti, se fossero rientrati tutti, si sarebbe dovuto rimettere a controllare le tombe, sistemarle, ripulire i vialetti e con il trattorino risistemare anche il cancello.
Entrò nella piccola cappella e si diresse alla fune della campana. Ogni volta che arrivava quel momento gli tornavano alla mente gli occhi celeste slavato di Moreno, il suo predecessore: "Quando succederà, Casimiro, e succederà ogni tanto, te non ti preoccupare. Arriva alla campana e falla suonare sette volte. Né una di più, né una di meno. E poi aspettali, Casimiro. Aspettali tutti e abbi pazienza con ciascuno di loro. Prenditene cura e tutto andrà sempre bene. Intesi? Bravo marrocchino che un te sei altro".
Casimiro Quaresima aprì il cancello del minuscolo campanile, "Maremma merdosa impavida" si disse tra sé e sé e poi prese a tirare.
Il mare placido bagnava la spiaggia più a ovest mentre la pineta viveva immersa nella sua vita, e tutto quel silenzio fatto di pace fu interrotto sette volte dal suono argentino della piccola campana del cimitero di Marina.
[Foto di copertina di Scott Rodgerson @unsplash]