Stazione onanistica #42
"Didacevi? Didadoci? Damaciami? Didarami?"
Ma dai, ma cosa cazzo ci faccio di nuovo qui? C'è questo vento forte d'aria calda che soffia insistente su una conca di terra rossa, il cielo varia da un grigio chiaro a un grigio quasi nero. La luce del giorno è bassa, sembra stia morendo o scappando, probabilmente sta facendo entrambe le cose.
Poco più avanti, sotto di me c'è un tumulo di pietre e una croce, signore e signori, una croce. Ma cosa c'entra la croce? Bastava un tumulo. Ora magari un tumulo un po' più grosso. Niente Silmbelmynë per me, piccoli e bianchi ma è normale. Poi una pira funebre sarebbe stato il top ma va bene anche così.
Mi sorrido.
Mentre gratto la barba il mio sguardo viene attirato dalla vista di un edificio tozzo che con ogni probabilità verrà ricoperto di terra rossa dal vento, anzi so che è così, come lo sai quando sogni che le cose stanno in quel modo per quanto possano essere bizzarre.
Faccio un passo avanti ed entro e la luce in qualche modo entra con me e vedo un tavolo di legno ormai spaccato, nessuna sedia nella stanza, sabbia rossa ovunque sul pavimento. Sopra al tavolo c'è una foto di tre piratesse piuttosto simpatiche che mi sorridono. Sorrido loro di rimando: sto scrivendo belle figliole, sto scrivendo; con la mano pulisco la foto dalla terra e me la infilo nella tasca posteriore dei jeans, poi ci ripenso e me la metto in una delle tasche davanti. Meglio.
Da una parte c'è il lavabo di una vecchia barca che una volta era ancorata su un fiume grigio limaccioso; prendo la tazza smaltata e sbreccata lasciata lì da qualcuno e apro il rubinetto. Sento le tubature gemere e poi dopo qualche secondo vedo uscire l'acqua, prima terrosa e poi via via, sempre più limpida. La faccio scorrere ancora un po' e poi bevo un paio di volte.
Sarebbe meglio bere una birra, anche due.
Sulla parete di fondo adesso noto un'altra porta, piccola in effetti, ma ci passo. No ok, non ci passo. Non vedo nemmeno dove porta ma sento qualcosa. Ecco sì, cresce anche di volume adesso: una versione per violino solista di Bohemian Rhapsody, bella cacata di versione. Mi metto a ridere e chiudo la piccola porta che fa un po' di resistenza ma nemmeno troppa alla fine.
Esco dall'edificio tozzo che ormai è per più di metà ricoperto di roccia e sabbia rossa. Ma da che parte s'esce da questo buco? Vedo nascosto tra le rocce un sentiero che sembra uscire dalla conca, lo prendo e inizio a camminare veloce. La luce ormai ha lasciato il posto all'ombra che scende su tutto, una situazione un po' scomoda in effetti.
Arrivo sulla cima di una duna e guardo fuori, c'è giusto un parco là sotto, coi lampioni e le luci e grandi festoni di carta colorati. Sento anche della musica in lontananza, risate e odore di brace. La pancia brontola e le gambe riprendono a camminare ancora più velocemente.
Inizio ad incrociare persone che mi salutano affettuosamente e che io saluto di rimando, sembrano davvero simpatici. E lo diventano quando mi offrono da mangiare e da bere mentre un'orchestra suona musica da ballo anni '30 sotto un patio di legno bianco, tra alberi pieni di rami e foglie verdi.
Ringrazio, saluto tutti e me ne vado.
Cammino, dormo, cammino, forse dormo.
Se sogno non me lo ricordo.
La mattina mi sorprende con gli occhi abbottonati e cisposi, la bava colata sulla barba e un dolore al fianco per aver dormito in terra. Son vecchio per certe cose.
Più avanti c'è una grande strada trafficata, non è troppo distante. Molto più vicino ci sono due sedie contro un muro all'ombra. Non vedo bene i mezzi che vanno e vengono ma mi rilassa. Stop.
Ogni tanto si sta bene seduti a veder correre veloce il mondo, o no?