#Karma 43
Barcollo mettendo un passo dopo l’altro, lanciando la gamba in avanti e appoggiando il piede sempre troppo forte sulla strada.
Ho i pensieri foderati d’ovatta, comunque sconclusionati, disconnessi come sembra la strada stanotte alle due, ma il disconnesso sono io.
Rimbalzo sul muro, saluto i cipressi, quasi stupefatto di essere arrivato a casa, quasi.
Infilo le chiavi alla prima, non inciampo nemmeno una mezza volta sugli scalini o su un marciapiede, quel che può sembrare alcolismo è solo allenamento.
Non ho incrociato nessuno per strada o comunque non l’ho riconosciuto, avrei parlato come parla uno che ha bevuto troppo. Mi vergogno all’idea.
Qualcosa è cambiato, dentro. È il tempo che agisce sul mio corpo. Svengo a letto.
La mattina mi sveglio nudo sotto le coperte, i vestiti in ordine sulla sedia. Stavolta non ho perso il cellulare, si fanno progressi.
Uscito dal bagno mi assale un malessere feroce, lo riconosco eppure non è mai stato così violento. Sto veramente di merda.
Monto in auto e nonostante stia guidando mi sembra di soffrire di mal di mare appena l’auto sussulta appena sull’asfalto.
Boia che botta esagerata.
Sono ancora sbilenco, ferito nel fisico e fiaccato nello spirito. Non posso più fare queste bischerate, nemmeno una volta l’anno ormai.
Al lavoro provo dolore anche a parlare, mi chiama Filippo per farmi gli auguri, mi sento parlare e penso ma chi cazzo è questo stronzo che parla col mio amico? Sei tu me, vecchio coglione.
Torno a casa, mi stendo sul divano sul fianco sinistro e guardo il vuoto di traverso.
Chiudo gli occhi, sorrido.
La mia vita è tutta su questo divano, in questo preciso momento. Il passato è andato, portandosi via colpe e ingiustizie subite, il futuro non esiste, nemmeno le paure che si è sempre portato in dote.
Sorrido per ogni dolore che sento, hippy ya ye vecchio coglione.